Ricordi…di Emilio Tadini

Ugo, Ugo Mulas, per esempio, l’ho conosciuto nei primi anni Cinquanta a un “Convegno di poeti”, in una galleria d’arte in via Borgogna. Perché Ugo allora voleva fare il poeta, e naturalmente non aveva mai una lira, e allora un giorno Pietrino Bianchi gli ha detto: “Perché non mi fai qualche fotografia per il mio settimanale?”, e Ugo ha detto di sì e poi si è fatto prestare una macchina fotografica e, incredibilmente, di punto in bianco, ha fatto una serie di fotografie splendide sulla Liguria di Montale e si è reso conto che fare il fotografo gli piaceva e così è diventato quel grande maestro della fotografia contemporanea che adesso tutti conoscono.

Perché ho raccontato questa storia? Solo per fare un esempio di quello che allora era il Jamaica. E anche di come il Caso facesse parte di quel piccolo Olimpo di Dei Minori che – credo che in fondo ne fossimo tutti sicuri – vegliavano su quel luogo magico e sui suoi abitanti (uso la parola “abitanti” perché molti di noi passavano più tempo nel locale che a casa propria).
Erano tanti, i fotografi, al Jamaica. Come i pittori, gli scrittori, i cineasti, i giornalisti. O, per meglio dire, erano tanti i giovani che si erano messi in testa di fare uno di questi mestieri – e che sarebbero riusciti a farlo, e, in molti casi, anche benissimo. (E naturalmente non bisogna dimenticare l’aiuto che ognuno di loro credo proprio abbia ricevuto, prima o poi, da quel povero Olimpo efficientissimo che si spostava a mezz’aria dal “giardino” all’interno del Jamaica – sempre strapieno di gente e di fumo nelle serate lunghissime, fino a notte inoltrata).
Ogni tanto, mi ricordo, da mezzogiorno e mezza alle due, o verso sera, quando si beveva il bianco ai tavolini, o dopo cena, uno del Giamaica tirava fuori la macchina fotografica e faceva qualche fotografia – all’aperto, se era bello il tempo, o, se il tempo era cattivo o faceva troppo freddo, dentro, sullo sfondo delle piastrelle bianche
E forse, in quei momenti, ognuno di noi fotografati, senza neanche pensarci e certo senza volerlo, si metteva in posa per qualche futura storia che non importava assolutamente che si realizzasse o no, perché tanto doveva sembrarci già abbastanza realizzata proprio nei sogni che più o meno pigramente ci figuravamo in testa e che forse ci sembrava già di poter vedere, abbozzati alla meglio, sul tavolino, vicino ai bicchieri.
Quasi tutti quei fotografi sono diventati grandi, famosi. Ma per chiunque sia nato e cresciuto al Giamaica le loro fotografie più belle restano quelle là, con quattro o cinque giovani molto giovani seduti sulle poltroncine di ferro del “giardino”, o dentro, contro lo sfondo di piastrelle bianche, in vaghe pose sognanti e incomprensibili, davanti ad un bicchiere di bianco ed altre cose – che invisibili, queste, eppure, a guardare bene, specchiate confusamente nelle loro pupille e magari anche raffigurate come enigmi da quattro soldi nelle pose di quel loro orgoglio inconsistente, fin troppo vulnerabile…
E’ quasi inutile dire che, intanto, gli Dei Minori dell’Olimpo Giamaicano continuavano a vegliare. E che tranquillamente, senza dare nell’occhio, continuavano a darsi da fare i loro rappresentanti in terra – a livello del pavimento, diciamo. La Signora Lina, l’Elio…
Emilio Tadini

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